Pubblicato su politicadomani Num 87 - Gennaio 2009

Speculazioni
Con l’acqua alla gola

Norme capestro contro i cittadini stanno rendendo il bene essenziale delle risorse idriche costoso quanto un oggetto voluttuario e di lusso. Sono scese in campo anche in Italia le gigantesche multinazionali. Dichiarare l’acqua bene non economico potrebbe essere l’unica speranza

di Andrea Palladino

Che il paese facesse acqua in quest’epoca di crisi era fatto notorio. Commenti, analisi, prospettive di un economia che non funziona, che non crea ricchezza, che sta per mandare sulla strada almeno 600.000 lavoratori. Ma c’è un’industria in Italia che sembra non conoscere crisi, che punta al rilancio, a nuovi investimenti: il quotidiano delle persone, l’acqua da bere, l’aria da respirare, i trasporti locali e i rifiuti. L’essenziale della vita, lo chiama la multinazionale francese Suez nel suo video istituzionale, che mostra una giovane donna che sta per partorire, assistita dal marito che le porge un bicchiere di acqua limpida, simbolo della purezza.
È di business dell’acqua che parliamo, visto che anche il governo Berlusconi se ne è occupato nel famoso decreto – poi divenuto legge – 133, lo stesso che taglia i fondi alla scuola, che ha fatto scendere in piazza centinaia di migliaia di studenti. All’articolo 23 bis si parla di sistema idrico, che comprende acqua potabile e fognature. Privato è bello, spiega l’arguto Tremonti, che dimentica rapidamente l’aura antiliberista con la quale si è presentato alle ultime elezioni.
Suez e Veolia sono le due principali multinazionali dei servizi pubblici locali. Oltre che di acqua, si occupano di rifiuti e – nel caso di Veolia – anche di trasporto. L’essenziale della vita, per l’appunto. In misura diversa le due imprese francesi da circa dieci anni sono presenti nel nostro paese, alleate a gruppi locali.

Progetto Milano
Era la fine degli anni ’90, dopo la bufera tangentopoli. Dopo la Milano da bere - sembra una battuta - c’era la Milano da depurare. La capitale economica italiana rischiava una super multa dall’Unione Europea per non avere un sistema decente di depurazione. Era dagli anni ’80 che tra gare da rifare, processi per tangenti e costi che raddoppiavano il comune milanese aveva a che fare con le italiche ditte dei lavori pubblici. Sulle altre spiccava la Siba, controllata dalla Emit di due fratelli pugliesi, Ottavio e Giuseppe Pisante.
Veolia – che all’epoca si chiamava ancora Vivendi – cercava partner locali. Si era accorta che senza le giuste alleanze era difficile superare le Alpi. Nel 1999 scatta l’accordo tra i due fratelli pugliesi e il colosso francese. In Italia, dopo la legge Galli, si preparava la più ghiotta privatizzazione, quella del sistema idrico: migliaia di depuratori, chilometri di acquedotti e, soprattutto, milioni di clienti da dissetare.
Siba diventa il nuovo cavallo di battaglia della Vivendi. Nel 2001 la Veolia – insieme ad una piccola quota dei Pisante – partecipa ad una delle prime gare per l’individuazione del socio privato nella gestione dell’acqua. Siamo in provincia di Latina, inizia il nuovo governo Berlusconi, le aziende si preparano e, quando serve, aiutano la politica. A Latina, poi, le privatizzazioni importanti sono due: oltre all’acqua, i rifiuti erano stati ceduti ad una spa partecipata dai fratelli Colucci, di San Giorgio a Cremano. Anche loro entreranno nella cordata della Veolia-Vivendi con una piccolissima quota. Sarà un caso probabilmente, ma proprio nel 2001 i Colucci avevano finanziato – in maniera assolutamente legale – Alleanza Nazionale. Ovviamente si tratta di un caso…

Intanto a Roma…
Era il 1997, aria di privatizzazione. La vecchia municipalizzata Acea, che a Roma si occupava da quasi un secolo di acqua ed energia, si prepara a diventare una spa. “Società per azioni” significa passare dal riferimento al diritto amministrativo di un ente pubblico alle regole dei privati, profitto in testa. Il comune di Roma continuerà a mantenere il 51%. Il resto del capitale?
Nella provincia di Roma si era costituito l’ambito idrico ottimale, come richiesto dalla legge Galli e dalla legge attuativa regionale, che portava la firma del leader Pds del Lazio Michele Meta e dell’ingegnere Raimondo Luigi Besson, dirigente della Regione, sotto la guida all’epoca di Badaloni.
Besson è una figura chiave nel processo di privatizzazione dell’acqua nel centro sud. Oltre a preparare la legge sull’acqua del Lazio andrà in trasferta in Calabria alla fine degli anni ’90, collaborando al disegno dell’attuazione della legge Galli anche in quella Regione. Alla fine del mandato di Piero Badaloni farà il gran salto verso il sistema privato: a Latina diverrà vice presidente di Acqualatina, su indicazione dell’Enel, che aveva una piccola  quota in partneship con Veolia. In Calabria – dove vincerà la gara per la gestione degli acquedotti una cordata composta sempre da Veolia, Pisante ed Enel – diverrà amministratore delegato.
A Roma intanto la privatizzazione di Acea – e la successiva quotazione – andava avanti. I più di cento comuni della provincia di Roma ricevevano l’offerta di accettare la nuova Acea spa come gestore. Nessuno di loro riuscì a comprare parte di quelle azioni messe sul mercato – furono offerte sotto elezioni, impedendone l’acquisto da parte delle amministrazioni, racconta in una riunione un sindaco – e il 49% del controllo della società ormai quotata in borsa finisce nelle mani dei privati.
L’affidamento del servizio avviene direttamente, senza gara. Interpretando la cessione della gestione alla nuova Acea spa come affidamento ad ente “a prevalente capitale pubblico locale”, la provincia di Roma – che coordina l’Ato 2 – e i sindaci, spinti anche dai politici e dai tecnici come Besson, preferiscono non svolgere una gara europea.
È Suez, secondo operatore mondiale dell’acqua, francese come Veolia, a ricorrere. La Commissione europea apre una procedura di infrazione contro l’affidamento. Suez presenta anche un ricorso al Tar, che poi perderà. Nel 2002, però, il ricorso europeo viene fermato e la francese Suez entra in affari con Acea. Che era successo?

L’alleanza Suez-Acea
A questo spinoso capitolo l’Antitrust di Catricalà ha dedicato tempo e risorse, arrivando alla condanna dell’ACEA e della SUEZ per violazione della libera concorrenza nel novembre del 2007, dopo una lunga istruttoria. È la prima volta che una decisione così importante – e grave – viene assunta in Italia relativamente al mercato idrico.
L’alleanza con il gruppo francese inizia nel 2002, quando viene costituita la AceaElectrabel Spa, partership paritaria tra i due gruppi per il settore energetico, mentre i primi contatti erano avvenuti già nel 2001. Da una parte Suez citava davanti ai Tribunali Acea, dall’altra costruiva l’alleanza.
La sentenza dell’antitrust ricostruisce passo per passo il patto tra le due società, citando importantissimi documenti trovati presso le sedi di Acea e Suez, tenuti per anni ben nascosti. Ovviamente mai si era parlato di questi accordi nella conferenza dei Sindaci o nei consigli comunali.
Nei primi colloqui ACEA pone infatti una condizione ritenuta fondamentale: far sì che l’alleanza avvenga senza troppo rumore, in maniera riservata. Il tema che scotta di più è senza dubbio l’acqua, che ha un valore politico molto alto. In un memorandum rinvenuto dall’Antitrust dove si parla della possibile acquisizione degli Acquedotti pugliesi da parte di ACEA e Suez, l’amministratore delegato di ACEA si mostra “leggermente inquieto davanti a un progetto di grandi dimensioni (l’Acquedotto è divenuto un tema politico) che segnali in maniera tanto visibile un partenariato tra ACEA e Suez-Ondeo” . 
Risale dunque al periodo 2001-2002 l’alleanza dei due gruppi nel settore acqua, che avrebbe poi condizionato le gare per l’affidamento della gestione in alcuni importanti ATO, soprattutto in Toscana. Tutto sempre in silenzio, vincolati alla segretezza. Una caratteristica che contraddistingue particolarmente i due gruppi. Ecco cosa si leggeva nel protocollo d’intesa firmato tra le due società e citato nel documento dell’antitrust (12 novembre 2001): “nessuna parte farà qualsiasi annuncio pubblico o comunicato stampa relativamente al presente protocollo o ad uno qualsiasi degli atti ed operazioni che ne costituiscano esecuzione”. Inoltre, un ulteriore allegato al documento impegna le parti alla riservatezza più rigorosa sui termini dell’accordo, prevedendo che “in qualunque ipotesi di interruzione della cooperazione ciascuna delle parti dovrà restituire alla controparte e, ove ciò non sia possibile, distruggere [...] tutte le informazioni, le copie o gli estratti delle stesse, ogni memorandum, analisi o documento derivato da – o contenente – le informazioni trasmesse”.
Cosa prevedeva in dettaglio l’accordo? Era l’epoca dell’implementazione della legge Galli e c’era da spartirsi il mercato idrico italiano: “Lo stabilimento di una strategia per i mercati dell’Italia centrale e del nord / lo stabilimento di comuni obiettivi finanziari e operativi per gare da vincere o la gestione di contratti di concessione in Italia / la presentazione di offerte per partenariati pubblico-privato, acquisizione di contratti per servizi idrici e fognari e l’acquisizione di imprese idriche e fognarie. / ACEA e Suez Environnement presenteranno queste offerte insieme (ed eventualmente con altri partner) [...] Con riferimento al territorio, l’accordo si applica come segue: esclusività in Toscana, Veneto ed Emilia Romagna (12 milioni di abitanti) / diritto di primo rifiuto per il resto d’Italia / la città di Roma non è parte del presente accordo”.
L’accordo prevedeva inoltre l’acquisto di un pacchetto di azioni di ACEA da parte di Suez e l’assegnazione di due consiglieri al gruppo francese.
L’alleanza tra i due gruppi si è quindi pienamente realizzata: due uomini Suez siedono in CdA, SUEZ è il principale azionista privato con il 9%, le due aziende hanno di fatto conquistato il mercato toscano. L’unico punto non realizzato riguarda l’acquisizione di AQP (Acquedotto Pugliese), operazione bloccata appena in tempo dal governatore Nichi Vendola.

A Latina inizia la festa ed arrivano le banche
Tra i documento che la Procura di Latina ha acquisito durante una recente inchiesta su Acqualatina, c’è una email che più o meno suona così: lasciamo perdere gli antipasti, perché la cena sta per arrivare. È bene chiarire subito che l’inchiesta della Procura è stata archiviata, e che gli arresti effettuati dalla Guardia di finanza all’inizio del 2008 dell’intero management del gestore dell’acqua della provincia di Latina sono stati annullati anche dalla Cassazione. Tutti innocenti, quindi. Ma la bufera sul gestore partecipato da Veolia è in realtà servita a dimostrare quale sia il vero volto della privatizzazione dell’acqua.
Oggi Acqualatina è una società in perdita, con un buco di bilancio di circa 160 milioni di euro. L’ultima operazione realizzata riguarda il project financing con una banca irlandese, la Depfa Bank, pesantemente coinvolta nella crisi finanziaria. Tanto per avere un’idea, la metropolitana di Londra rischia di veder saltare i lavori di ristrutturazione a causa della crisi di liquidità di questa banca, appena declassata dalle agenzie internazionali.
Il progetto di finanza va a coprire i debiti accumulati, tra i quali anche qualche milione di euro che il socio privato aveva “prestato” alla società mista pubblico-privata. Veolia e Pisante sono a posto. Chi rimane nei guai è Acqualatina e quel 51% di soci pubblici, che sono i comuni. I patti con la Depfa prevedono infatti che la banca può arrivare a sostituirsi ai soci in assemblea, in caso di “eventi rilevanti”.

Gli aumenti della tariffe
Il prezzo dell’acqua sta aumentando in tutta Italia. I comuni serviti da Acea hanno visto un aumento della tariffa media del 14% nel 2008, con un ulteriore aggravio del 4,59% dal 2009. Anche in questo caso la trasparenza è venuta meno. L’aumento di fatto della tariffa media del 2008 è stato infatti calcolato per compensare la diminuzione dell’acqua fatturata da Acea. È un paradosso, ma se il gestore vende meno acqua, la tariffa va aumentata, perché va garantito comunque il ricavo e la remunerazione del capitale. In sostanza il sistema della legge Galli – che garantisce il profitto al gestore sempre e comunque – è una partita truccata. In alcuni casi, come a Latina, il passaggio dalla gestione comunale a quella delle società private ha comportato aumenti anche del 300%. Nella provincia di Roma il passaggio ad Acea per alcuni comuni significherà aumenti della tariffa media anche del 90% rispetto alla gestione comunale.

L’ultima sfida, la legge 133
Dato che nonostante tutto in Italia non si privatizzava abbastanza, il nuovo governo Berlusconi ha deciso di dare una ulteriore spinta. Nella legge 133, la stessa della pseudoriforma Gelmini, è stato inserito un articolo, il 23 bis, che prevede che l’affidamento dei servizi pubblici locali a gestori completamente pubblici sia di fatto estremamente difficile. Si crea in sostanza un “quasi obbligo” a privatizzare ulteriormente, affidando il nostro quotidiano, l’essenziale della vita, al capitale speculativo.
La resistenza a  questo diktat parte dai comuni, soprattutto dai municipi più piccoli e quindi più esposti. Sono tante le amministrazioni comunali che stanno inserendo negli statuti la dichiarazione dell’acqua come bene non economico e quindi non soggetto al mercato. Un passo fondamentale per cercare di bloccare questa nuova ondata privatizzatrice. Un piccolo tassello per ricostruire la democrazia dal basso.

 

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